A Boston (e a Cambridge, Massachusetts – mai dimenticarsi che, come da noi in certe zone della Toscana, per esempio, il fiume -l’enorme fiume Charles, qui – divide due entità rivali e antagoniste -) ….
Insomma, qui dicevo, in questo privilegiato angolo del New England, stanno rinnovando i musei, con rispetto e amore, ma anche con scelte culturalmente coraggiose, chiamando alcuni dei più grandi architetti moderni a dire la loro concorrendo o mettendosi al servizio di un “antico” appena appena vecchio.
Ecco quindi Renzo Piano che realizza l’ala dei servizi, discretamente appoggiata alle terga della gran dama di Boston, Isabella Stewart Gardner.
Una aggiunta alla sua casa-museo, un mostro in forme veneziane partorito dalle menti superegotische della gran Dama e di Bernard Berenson, non è una cosa facile.
Renzo Piano si è tenuto accuratamente lontano da ogni tentativo, non dico (e non sia mai) di imitazione, ma nemmeno di integrazione. I due corpi vivono distiniti, uniti ma anche separati da una sorta di camminamento coperto, tutto realizzato in vetro, che costringe ad una immersione per transitare dalla luce degli spazi di Piano al Museo antico, angusto, sovraffollato, un camerino degli orrori, una wunderkammer dell’horror vacui.
La nuova ala è destinata principalmente ai servizi, a sale educative, agli uffici, a polo espositivo per l’arte contemporanea e ospita una incredibile sala da musica “in verticale”.
Tutta vetri e rame ossidato, la Renzo Piano’s addition realizza quindi un bel contrato di colori tra la sua dominante verde e il rosso dei mattoni della costrizione antica.
Chissà mai, poi, perché a me Renzo Piano continua a sembrare un architetto da aeroporti?!