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memorial

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È forse il più recente dei Memorial sul Mall, risale appena al 2011.
Anche se LUI fu ucciso nel 1968.

Ma si sa, nonostante il simbolo che fu in vita e soprattutto che diventò dopo la morte, certi pregiudizi sono duri a morire.
Forse non tanto il pregiudizio razziale quanto quello che dopo la sua morte abbia avuto inizio per l’America (soprattutto per certe città, Washington D.C. compresa) un periodo di disordini, di violenza, di caos civile quasi inarrestabile.
Come se questo potesse essere imputato alla vittima-simbolo di questa barbarie. Ma di fatto così si pensa.

Quindi il Memorial arrivó solo in coda a molti altri, non a caso durante la presidenza di Obama.

So che è stato ed è opera molto controversa, ma a me è piaciuta molto.
Per cominciare ci sono, sul granito nero che circonda l’aerea, frasi prese da discorsi celebri di MLK.
Questa della memoria del discorso è una scelta molto caratteristica in USA. Ho forse già detto altrove come questi discorsi dei capi politici siano memorabilia da collezionare, siano considerati parte della storia e non propaganda spicciola da dimenticare dopo poche ore, o minuti, come da noi.

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L’idea dominante è quella del masso di granito bianco, la montagna del pregiudizio, da cui si stacca una pietra enorme, prioettata in avanti dalla sua stessa energia, che contiene, encapsulata, la figura di Martin Luther King che ne emerge, ancora in parte prigioniero, ma fortemente determinato.

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A scolpire la figura di MLK e’ stato un artista cinese, Lei Yixin, che e’ stato accusato di averlo rappresentato troppo simile a Mao

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Ma certe sensazioni ed assimilazioni sono molto personali.
A me faceva venire in mente, invece, l’idea michelangiolesca intrappolata nella materia.
Resta il fatto che il simbolo è grandissimo e certo, almeno per noi non-americani, maggiore dei tanti che si incontrano su e giù per il National Mall.

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Una guerra di cui non posso, ovviamente, avere nessun ricordo diretto. La sentivo nominare solo in relazione alla guerra del Vietnam, nella proteste, il tipico slogano che certo qualcuno ricorda : “Ieri Corea, oggi Vietnam”.

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Sul Mall di Washington, tra i vari Memorial, quelli classicheggianti dei primi presidenti, quelli più recenti, spicca questo, strano, un po’ kitsch, con grandi statue in un materiale che sembra piombo, di soldati dalle espressioni esasperate e un po’ grottesche, quasi un norme plastico tridimensionale ricavato da un’opera di Ensor.
Camminano, avanzano, in assetto di guerra in uno spiazzo con bassi cespugli di ginepro. Dubito che possa adeguatamente rappresentare paludi e pianure coreane….comunque….

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Poi c’è il laghetto, una memoria quasi zen della morte, i colorati ragazzini delle immancabili gite scolastiche, a contrastare il grigio e quei simulacri vuoti.

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Gli ologrammi sul muro di granito.

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E una scritta che non dimentichi.

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A Central Park non ci sono solo i Memorial di personaggi celebri.
Passeggiando lungo i viali si incontrano ricordi di persone qualsiasi che hanno amato quel luogo e che, preparandolo in anticipo o grazie ad amorevoli eredi, sono ricordati in modo carino e minimalista.
Sulle panchine.

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I figli di coppie eternamente idealizzate, il solitario che amava passare lunghe ore nel parco, i caduti dell’11 settembre, un amabile ( e forse temibile) gruppo su vecchie amiche che si riunivano per pranzo….si potrebbe seguitare a lungo.

Chiudiamo con le foto di rito, matrimonio col Parco come quinta. Tutto il mondo è paese. Generazioni future guarderanno quelle foto e sarà in sassolino in più nel definire quel luogo come luogo della memoria, individuale e collettiva.

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( ma avete notato che sono quasi solo i cinesi a sposarsi?)

Anzi, nel “Parco” scritto con la lettera maiuscola, in Central Park.

Gli Stati Uniti, le città della East Coast, almeno, hanno avuto, fin dalle loro origini, bisogno di un “parco”, un’aerea verde comune da adibire a luogo di incontro, di svago collettivo, come il Central Park di New York.
Ma anche per pascolo e raccolta di fieno per chiunque volesse allevarsi un proprio gregge “cittadino”: e questo è il Common di Boston, dove pare che ancor oggi sia in vigore una legge che permette al bostoniano di andare a fare fieno nel parco, se vuole.
O parchi cella memoria, come il Mall di Washington DC, nato per essere luogo di parate, di celebrazione e di raccolta della storia della nazione.

Poi, ampliandosi le città e diventando questi parchi sempre più importanti nella vita collettiva, si sono popolati di memorie vere o elettive, di storie, di leggende, di fantasmi.
Il Common di Boston ne alleva di autoctoni, avendo dedicato una parte a cimitero, le cui lidi, cancellate e dimenticate dal tempo permangono, quasi spettrali memento mori della città.

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New York celebra in altro modo, storie vere e storie inventate

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Hans Christian Andersen e il brutto anatroccolo

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Il cane Balto

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Alice in Wonderland, sempre carica di bambini arrampicati ovunque, sul cappellaio matto, sulla lepre marzolina, su Alice stessa….

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Il simbolico Padre Pellegrino

Per poi arrivare anche a memorie moderne

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Stawberry Fields, il Memorial di John Lennon, ucciso pochi metri più in là, davanti allo splendido (e spettrale Dakota Building in cui abitava, lungo il parco

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E oggi, devo dire, che di questo composto e veneratissimo luogo della memoria, quello che colpiscono di più sono le sue vestali

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Una visita a quello che fu il Ground Zero e, prima ancora, il World Trade Center, è dovuta, ogni qual volta si va a New York.
Non è mai stata, almeno per me, pornografia dell’orrore. Quella gli americani te la impediscono in modo pratico, eliminando velocemente tutto quello che potrebbe lasciare spazio ad una contemplazione malata e patologica; e creando invece memorial appositi, didatticamente e politicamente studiati, che trasmettano valori, ricordi, emozioni e costruiscano una memoria scelta e voluta in un certo modo, in una certa direzione, che spesso va a sovrapporsi a quella reale.
Vedere i Memorial delle guerre, a Washington, per capire cosa voglio dire (ma li vedremo insieme in un prossimo post).

Per me che ho visto il World Trade Center in tutto il suo arrogante splendore, una torre di Babele della finanza che sfidava la stessa Manhattan; per me che ho visto Ground Zero come ferita aperta, voragine di orrore (ed era davvero impressionante); per me che l’ho visto come il cantiere della rimozione, demolizioni e lavoro per cancellare, adesso vedere la costruzione e trovarsi davanti alla nuova torre che già svetta e che riconosci da lontano, è quasi altrettanto shoccante.

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Nel luogo, poi, dove sorgevano le Twin Towers, ci sono ora due enormi vasche che formano due cascate d’acqua che spariscono nella terra. Una scelta molto suggestiva e forse la meno magniloquente possibile.

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Nelle immediate vicinanze, poi, la St. Paul Chapel, miracolosamente sopravvissuta a crolli e distruzioni, che servì da quartier generale e da luogo di sosta per i vigili del fuoco, ormai trasformata in un Memorial essa stessa.

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