archivio

people

Nei giorni scorsi sul Washington Post (giornale peraltro serissimo) c’era questa serie di gustose foto delle cosiddette “famiglie reali” degli Stati Uniti, vale a dire i presidenti.
L’occasione era quella della inaugurazione a Dallas della biblioteca donata da George W. Bush all’Università metodista locale (e a se stesso intitolata, con impeccabile understatement).

Erano presenti tutti i 5 presidenti viventi:

Image

Obama, Bush “Dabliu”, Clinton, Bush senior e Carter.
Devo dire che dell’esistenza di Carter mi ricordavo a mala pena……una meteora incolore fra Nixon e Reagan (anche se ci doveva essere stato in mezzo, da qualche parte, un altrettanto incolore Ford; e anche se Carter vinse un premio Nobel, se non sbaglio….ma tant’è: i “cattivi” della storia sono molto più memorabili).

Poi c’erano le 5 rispettive first ladies:

Image

Dal che si vede che le donne si conservano meglio.
Barbara Bush, famosa per il soprannome di “vecchia babbiona”, oggi sembra quasi la figlia del consorte!

Ma vorrei anche che si notasse la regalità del gesto e del piglio di Hillary Clinton. Nonostante i recenti problemi di salute, nonostante l’abbandono (provvisorio?) della scena politica, è stata lei il vero uomo della dinastia Clinton: nulla da dire. Antipatica, ma tanto di cappello.

E infine questo fantastico primo piano sui calzini di Bush senior:

Image

 

Il fatto è che nei commenti si esaltava il gusto tuttora dandy di vestire dell’anziano e malmesso ex-presidente!
“The socks have become his statement on style”

 

Trucco per uomini

20130421-105311.jpg

20130421-105348.jpg

Sarà anche un trucco maschile (a parte che a me l’espressione sembra una contraddizione in termini….ma io sono agée, si sa, e soprattutto sono antiquata).
Questo vorrebbe sottindere la pubblicità del rossetto, presentato come unisex…

20130421-105628.jpg

Ma a me questo fard leopardato sembra tanto da drag queen

20130421-105730.jpg

Il 16 aprile, è una ricorrenza importante in Washington DC: è l’Emancipation Day, vale a dire l’anniversario del giorno in cui, nel 1862, Abramo Lincoln firmò il Compensated Emancipation Act, una dichiarazione di liberazione per gli ancora 3000 schiavi che vivevano nel District of Columbia.
L’atto avvenne ancora in piena guerra civile e fino alla fine di questa, nel 1865, la schiavitù non fu ufficialmente abolita negli Stati Uniti. Ma certo l’atto di Lincoln fu importantissimo e stabilì in maniera inequivocabile che uno dei portai della guerra civile sarebbe stato anche questo, la liberazione definitiva o la permanenza in schiavitù degli afromaericani.

Una data ai nostri giorni ancor più significativa, dato che abbiamo un presidente afroamericano.

Il giorno viene celebrato con una grande e colorata parata per le vie della città.
Ma ieri il festeggiamento ha avuto una dimensione in più, all’indomani delle bombe della maratona di Boston: il senso della liberazione dalla schiavitù della paura.
E il senso di questa America che non si arrende mai, che scende in piazza a festeggiare, vecchi e bambini, belle ragazze, scolaresche, bande militari e figuranti in costume, con un senso della storia e della propria identità, anche quella acquisita, che davvero non possiamo far altro che invidiare loro.

Ed ecco un po’ di foto:

 

Image

 

Image

 

Image

 

Image

 

thumb
emancipation03b1366140794

Picture1

slide_220774_874203_free

emancipation101366143251

Gli Amish sono una curiosa setta integralista tipica della Pennsylvania (ma anche di alcune altre zone rurali degli Stati Uniti, come per esempio il Wisconsin) che professano una totale avversione alla vita moderna, alle tecnologie, a cominciare dai trattori, i telai meccanici, ecc.
Sono, in pratica, fermi al 1700.
Con qualche eccezione dovuta alla necessità di vivere nelle loro isolate fattorie (come il furgone comunitario o il telefono da usare nelle emergenze e solo sotto supervisione dei capi religiosi). E delle curiosità integraliste come il rifiuto di usare cerniere lampo o bottoni automatici nei vestiti.

Sono oggi più famosi grazie al film “Witness – Il testimone”, con Kevin Costner, ambientato in una comunità Amish.
E sono molto di moda nei mercatini alimentari bio per il non uso di OGM e addirittura fertilizzanti, regolamentato da leggi religiose.

Eccovi un po’ di “chicche” Amish, dai mercati di Philadelphia:

20130413-135226.jpg

20130413-135308.jpg

20130413-135405.jpg

Questa ragazza, invece, cercava di nascondersi alla macchina fotografica. Pare che secondo la loro interpretazione di un versetto della Bibbia, farsi una fotografia equivalga ad idolatria.

20130413-135522.jpg

By the way, le cuffiette sono di ordinanza, non per ragioni di igiene nella vendita al pubblico di generi alimentari, ma per ragioni religiose. (Almeno da noi le donne stavano col velo solo in chiesa!).

20130413-135658.jpg

E un segnale stradale che invita alla prudenza a causa dei veicoli a cavalli degli Amish

20130413-140619.jpg

Continuando con sporadici, ma “pregnanti” ricordi del mio soggiorno negli Stati Uniti, facciamo un breve excursus tra la moda locale.
Abiti da sera, sì, ma a poco prezzo!
In nessun luogo come nella patria del consumismo è invece presente e vivo il fenomeno del riciclare, del riproporre quello che si usa magari una volta sola nella vita.
Quindi abiti da sposa, sì, ma anche abiti da sera, di quelle serate eccessive, lustre, luccicanti, colorate, come solo qui si possono avere.
Le fiere vintage, il vintage stesso, ma anche l’introdurre nella categoria “vintage” epiche e mode sempre più recenti, trovano un grandissimo favore negli USA.
Chi non ricorda il favoloso basement di Filine’s a Boston? Malauguratamente chiuso (e per sempre!, pare) da pochi mesi.
Adesso l’indirizzo di riferimento a NY pare sia il Loehmann’s store, sulla Settima Avenue, tra la 16th e la 17th, West Side, zona Chelsea.
Pare si possano trovare affari colossali.
Sarà questione di momento, o forse di gusti: a me non è sembrato poi questa meraviglia, né dal punto di vista dei prezzi né da quello della scelta.
Comunque…..ecco un assaggio degli abiti da sera (giocando con l’inutilità):

20120629-092226.jpg

20120629-092246.jpg

20120629-092302.jpg

20120629-092332.jpg

20120629-092356.jpg

Per finire una chicca: le scarpe!!!

20120629-092549.jpg

La “nail art” impazza, negli Stati Uniti.
È esercitata soprattutto da estetiste (?) cinesi e indiane. Anzi, tiranni cinesi, sia uomini che donne, che in antri improbabili schiavizzano piccole donne orientali di varia nazionalità, impaurite e che probabilmente vivono quasi solo delle mance che ricevono.
Comunque si trovano questi negozietti per pedicure e manicure ovunque ed è difficile resistere alla tentazione…
Anche per me, che pur usando smalti a gogó per le unghie dei piedi, non mi ero MAI dipinta le unghie delle mani.
E quindi: mai dire mai…!

20120623-204037.jpg

Una “falsa” French Manicure (mai avute le unghie abbastanza lunghe per fare quella vera)

20120623-204524.jpg

E poi le mie preferite, rosso fegato:)

A Central Park non ci sono solo i Memorial di personaggi celebri.
Passeggiando lungo i viali si incontrano ricordi di persone qualsiasi che hanno amato quel luogo e che, preparandolo in anticipo o grazie ad amorevoli eredi, sono ricordati in modo carino e minimalista.
Sulle panchine.

20120607-232044.jpg

20120607-232117.jpg

20120607-232131.jpg

20120607-232225.jpg

20120607-232339.jpg

20120607-232430.jpg

20120607-232446.jpg

20120607-232534.jpg

I figli di coppie eternamente idealizzate, il solitario che amava passare lunghe ore nel parco, i caduti dell’11 settembre, un amabile ( e forse temibile) gruppo su vecchie amiche che si riunivano per pranzo….si potrebbe seguitare a lungo.

Chiudiamo con le foto di rito, matrimonio col Parco come quinta. Tutto il mondo è paese. Generazioni future guarderanno quelle foto e sarà in sassolino in più nel definire quel luogo come luogo della memoria, individuale e collettiva.

20120607-233502.jpg

( ma avete notato che sono quasi solo i cinesi a sposarsi?)

Anzi, nel “Parco” scritto con la lettera maiuscola, in Central Park.

Gli Stati Uniti, le città della East Coast, almeno, hanno avuto, fin dalle loro origini, bisogno di un “parco”, un’aerea verde comune da adibire a luogo di incontro, di svago collettivo, come il Central Park di New York.
Ma anche per pascolo e raccolta di fieno per chiunque volesse allevarsi un proprio gregge “cittadino”: e questo è il Common di Boston, dove pare che ancor oggi sia in vigore una legge che permette al bostoniano di andare a fare fieno nel parco, se vuole.
O parchi cella memoria, come il Mall di Washington DC, nato per essere luogo di parate, di celebrazione e di raccolta della storia della nazione.

Poi, ampliandosi le città e diventando questi parchi sempre più importanti nella vita collettiva, si sono popolati di memorie vere o elettive, di storie, di leggende, di fantasmi.
Il Common di Boston ne alleva di autoctoni, avendo dedicato una parte a cimitero, le cui lidi, cancellate e dimenticate dal tempo permangono, quasi spettrali memento mori della città.

20120607-000314.jpg

20120607-000334.jpg

20120607-000355.jpg

New York celebra in altro modo, storie vere e storie inventate

20120607-000703.jpg
Hans Christian Andersen e il brutto anatroccolo

20120607-000959.jpg

Il cane Balto

20120607-001156.jpg

Alice in Wonderland, sempre carica di bambini arrampicati ovunque, sul cappellaio matto, sulla lepre marzolina, su Alice stessa….

20120607-001521.jpg

Il simbolico Padre Pellegrino

Per poi arrivare anche a memorie moderne

20120607-001634.jpg

20120607-001656.jpg

20120607-001713.jpg

Stawberry Fields, il Memorial di John Lennon, ucciso pochi metri più in là, davanti allo splendido (e spettrale Dakota Building in cui abitava, lungo il parco

20120607-001947.jpg

20120607-002006.jpg

20120607-002030.jpg

20120607-002045.jpg

E oggi, devo dire, che di questo composto e veneratissimo luogo della memoria, quello che colpiscono di più sono le sue vestali

20120607-002220.jpg

Naturalmente il motto è “politically correct sempre”. E integrazione.
Anzi, costruire una società che sia “democratic and inclusive”.
Ma anche qui, come sempre, non bastano le parole. E spesso la società è “inclusive” solo di facciata (o, se vogliamo essere generosi) di volontà.
In realtà come sappiamo bene e proprio noi, paese di recente immigrazione, è il razzismo subdolo ad essere il più difficile da sradicarsi.
Capita quindi che negli Stati Uniti governati dal primo presidente nero della storia, i particolari siano illuminanti.
E certe lezioni si imparano dalla vita quotidiana, per esempio alla scuola dei grocery shops

Linee dedicate di prodotti di bellezza.
E fin qui…….

20120605-235653.jpg

20120605-235709.jpg

20120606-000305.jpg

20120606-000322.jpg

20120606-000336.jpg

Peccato poi che proprio l’indicazione del nome del reparto sia quanto di più scopertamente razzistico possa esistere.
(che ovviamente per dimostrarsi di intenzioni politically correct sembra che basti evitare di nominare il oltre della pelle……..)

20120606-000507.jpg