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USA

In questo periodo, al Newseum (=museo del giornalismo) di Washington DC c’è una mostra dedicata ai Kennedy che si intitola “La creazione di Camelot”.
Infatti nessuno può negare che proprio grazie ai media, prima sapientemente orchestrati e poi che lavoravano da soli sull’onda lunga di quelle vite straordinarie, a metà strada fra la tragedia e il jet set, sia stata creata una vera saga, degna della Tavola Rotonda, densa di cavalieri, dame, maghe incantatrici e ricerca del Graal

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In parte la stessa cosa sta accadendo anche intorno agli Obama.
Giovani, belli, col fascino del potere e della novità, simbolo di dove oggi possono arrivare quegli Afro-americani fino agli anni 70 ancora fatti segno di persecuzioni razziste e segregazione in molti stati del sud.

In questo filone della costruzione del mito si situano immagini e oggetti di tutti i generi, comunicazione, talk shows, oggetti e libri.

Come questi, dedicati ai genitori di Obama (quello sul padre scritto da lui stesso prima di assurgere alla presidenza).

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O questo merchandising, a dir poco bizzarro

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anche le bamboline con le fattezze (o i nomi, almeno) delle figlie: la “Sweet Sasha” e la “Marvellous Malia”

Che poi….che nomi!! bah! Nessuno è perfetto.

Non ci sono scappatoie che tengano: siamo sempre il paese della pizza e qualunque pizzeria, in giro per gli Stati Uniti, deve – necessariamente deve – avere qualche riferimento all’Italia.

Eccone quindi una piccolissima collezione:

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Dal riferimento geografico-culturale (Pisa e la torre pendente, non proprio collegate nel nostro immaginario italiano alla pizza)

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All’abbinamento con l’opera: altro classico stereotipo di italianità .

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Ad una pizzeria italiana di nome ma kosher di fatto: come si vede dall’avventore munito di kippah altrettanto quanto il pizzaiolo.

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Nei giorni scorsi sul Washington Post (giornale peraltro serissimo) c’era questa serie di gustose foto delle cosiddette “famiglie reali” degli Stati Uniti, vale a dire i presidenti.
L’occasione era quella della inaugurazione a Dallas della biblioteca donata da George W. Bush all’Università metodista locale (e a se stesso intitolata, con impeccabile understatement).

Erano presenti tutti i 5 presidenti viventi:

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Obama, Bush “Dabliu”, Clinton, Bush senior e Carter.
Devo dire che dell’esistenza di Carter mi ricordavo a mala pena……una meteora incolore fra Nixon e Reagan (anche se ci doveva essere stato in mezzo, da qualche parte, un altrettanto incolore Ford; e anche se Carter vinse un premio Nobel, se non sbaglio….ma tant’è: i “cattivi” della storia sono molto più memorabili).

Poi c’erano le 5 rispettive first ladies:

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Dal che si vede che le donne si conservano meglio.
Barbara Bush, famosa per il soprannome di “vecchia babbiona”, oggi sembra quasi la figlia del consorte!

Ma vorrei anche che si notasse la regalità del gesto e del piglio di Hillary Clinton. Nonostante i recenti problemi di salute, nonostante l’abbandono (provvisorio?) della scena politica, è stata lei il vero uomo della dinastia Clinton: nulla da dire. Antipatica, ma tanto di cappello.

E infine questo fantastico primo piano sui calzini di Bush senior:

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Il fatto è che nei commenti si esaltava il gusto tuttora dandy di vestire dell’anziano e malmesso ex-presidente!
“The socks have become his statement on style”

 

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Non sarà un post molto lungo.
Forse nemmeno un vero post.
Solo auguri, tanti e di cuore, dal freddissimo, bianchissimo e nevoso Minnesota (con una puntata in Wisconsin).
Neve ovunque, ma una promessa di sole e di rinascita. Dietro alla finestra doppia e sbarrata guardiamo il sole pallido che fa scintillare la neve, sperando che porti quelli che annuncia: disgelo, luce, vita.
Buona Pasqua dall’orchidea di questo domestico giardino d’inverno.
Buona Pasqua col camino acceso, il burro e il formaggio buonissimo della “Dairyland”,

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un po’ di prosciutto San Daniele recuperato per caso (ma mai tanto dolce), vino italiano e le mie (regolari) due teglie di lasagne.

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Ho deciso: se non mi vogliono come “scholar” tento la sorte qui come insegnante di cucina italiana!

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Qualcuno aveva dato ordini diversi, ma non tutti lo sapevano.
Non lo sapevano gli studenti che contavano le settimane all’arrivo delle sospirate vacanze estive.
Non lo sapevano i negozi, con le vetrine piene di primaverili abitini dai colori pastello.
Non lo sapevano gli alberi ed i fiori che si ostinavano a tentare di tirar fuori boccioli teneri e indifesi, che non riuscivano a fiorire e sembravano rattrappirsi sotto il vento freddo.

Non lo sapevamo noi, con gli abiti invernali che cominciavano a chiedere pietà, le scarpe sempre bagnate di pioggia, gli ombrelli sfiniti dal gran lavoro, guanti sciarpe e cappelli sempre pronti, in attesa, accanto all’attaccapanni.

Qualcuno aveva dato l’ordine, sì: l’ordine di ricominciare da capo con l’inverno.

Il calendario diceva “Marzo”, ma era di nuovo novembre.
A dire il vero sembrava più ancora un dicembre impietoso, crudele, con nessuna memoria dell’autunno. Un novembre già invernale, solo qualche ora di luce in più.

Ma una luce inesistente, grigiastra, un prolungamento del crepuscolo, un crepuscolo anche al mattino.

Quel giorno, poi, era perfino nevicato. Coltre bianca sotto quelle povere magnolie in boccio.

Neve tardiva?
Ma no, neve precoce. Sta nevicando in novembre.
E le magnolie in boccio?
Non hanno ricevuto l’ordine, non sono state avvisate.
Come “non sono state avvisate”?
Forse non hanno un indirizzo e.mail attivo.
Come non lo hanno? Ce l’hanno sì: magnoliatrees@pennsylvanyaavenue.com
Ecco l’errore: non e’ un indirizzo governativo. Bisogna fornirlo loro: dev’essere un “punto GOV”. In fondo sono o non sono impiegate statali? Impiegate di basso livello, ma pur sempre addette ad un compito governativo: addobbare la via delle parate.
Siamo d’accordo, ma chi vorrà mai fare marce o parate se siamo di nuovo in inverno?
Staremo a vedere. Intanto avvertitele, le magnolie. Non è dignitoso. Sembra quasi una ribellione, invece di ignoranza.
Sara’ fatto. Aggiungeremo anche un “Thank you for your continued patience and cooperation during this year’s protracted winter process”.

Ma chi aveva dato l’ordine?

Le congetture si inseguivano, su internet. Sì, perché i giornali, tutti più o meno governativi, come lo Washington Post, facevano da sottofondo discreto alla decisione che il governo aveva comunicato, cercando di distogliere l’attenzione del pubblico parlando di stupidaggini come la crisi budgetaria federale, il sequester.

Lo snob e wasp New York Times aveva protestato perché le regole politically correct delle alternanze erano state disattese. Ma giusto solo un poco: in fondo la nascita di una nuova minoranza, quella delle primavere in via d’estinzione, era una cosa cui plaudire.

Il Financial Times si era chiesto quale impatto potesse tutto ciò avere sulle borse. Ma si era presto rassicurato per via dell’impennata delle azioni delle industria delle apparecchiature riscaldamento, come sempre in barba ai protocolli di Tokyo e di Lisbona.

Dunque le ipotesi.

1) i catastrofisti si stracciavano le vesti rispolverando le vecchie teorie sul riscaldamento globale, anche se a dire il vero,non si capiva perché producesse tanto freddo.

2) i cospirazionisti avevano trovato inconfutabili prove che una setta giudaico-pluto-massonica aveva creato, in un misterioso laboratorio dell’Alaska medio inferiore, un virus letale che faceva ammalare le specie arboree diventate per questo incapaci di produrre clorofilla. Ne derivava una mancata ossigenazione dell’atmosfera, un ristagno dell’anidride carbonica, nuvole perenni,mancato irraggiamento solare, freddo.

3) gli arcanisti citavano l’adempimento delle profezie cabalistiche di Nostradamus, di Rasputin, di un sonetto di Shakespeare letto al contrario e saltando un verso sì e uno no, nonché la fine del calendario della Terra di Mezzo.

4) i mormoni dello Utah, gli Amish della Pennsylvania, i Mennoniti del Minnesota, i Sefarditi di Park Avenue e i Cavalieri di Colombo si accusavano gli uni gli altri di aver ceduto al modernismo, al revanscismo, all’integralismo, al bubbonismo.

5) Ophra scrisse un nuovo libro e comprò per l’occasione una nuova parrucca; in Italia Giacobbo fece un nuovo documentario sul potere dei Templari, Vespa si fece costruire un plastico dell’inverno, Matteo Renzi incolpò la classe politica di vecchie carampane, incapaci di lasciar posto ai nuovi germogli. Seracini cose l’occasione buona (non per tacere, quando mai!) per affermare che il freddo globale era una corrente d’aria proveniente dalla misteriosa intercapedine dietro cui si celava la Battaglia di Anghiari: sarebbe bastato buttare giù quello stupido Vasari che si interponeva fra lui e la gloria!

Certo che di cose che brillano, qui, ce ne sono molte.
Per esempio i fondi oro e le decorazioni dei dipinti alla National Gallery
(tutti quelli italiani, almeno).

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Nardo di Cione

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Il Maestro della Vita di San Giovanni Battista

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Agnolo Gaddi

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Lippo Memmi



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Giovanni di Paolo

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Duccio di Boninsegna

Poi c’è un’altra ricchezza, quella vera, intrinseca e economica che poggia su una moneta ancora molto forte (anche se non come una volta).
Comunque abbastanza da cercare di affossare il nostro virtualissimo Euro (questa la mia opinione sulla crisi monetaria internazionale. Se sentite un americano, però, vi dirà esattamente il contrario)

Ed ecco la fonte della ricchezza in “currency” (vale a dire in denaro corrente, la valuta):

 

Questo “sacro luogo” (perché ogni nazione ha i templi che si sceglie e si merita) è chiamato il Bureau of Prints and Engravings.
Che io, fissata come sono, credevo fosse un museo di stampe e incisioni, nel senso artistico del termine.
E invece è, molto prosaicamente, la ZECCA, la stamperia di denaro.

Il dio dollaro.
Che presenta un inconveniente GRAVISSIMO per la gente “ciecata” come me: produce banconote tutte assolutamente identiche per grandezza e colore le une alle altre. Insomma, se non hai occhiali, rischi di pagare 100 dollari una corsa in taxi da 5!

Ma guardiamoli da vicino, che danno una idea del patriottismo locale, molto di più delle nostre astrussissime iconografie dell’Euro, per le quali, anzi, ci si è voluti mantenere sul generico e l’astratto.

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1 dollaro = George Washington
(non D.C., Washington e basta)

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2 dollari = Thomas Jefferson
(ma io non l’ho mai vista questa banconota. Sarà! Con Jefferson c’è sempre da rimanere fregati)

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5 dollari = Abramo Lincoln
(certo potrebbero aggiornarlo e metterci Daniel Day Lewis, ora)

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10 dollari = Alexander Hamilton
(mi dicono fosse un Tremonti locale)

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20 dollari = Andrew Jackson
(uno dei tanti presidenti a noi ignoti)

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50 dollari = Ulysses Grant
(mi pare avesse un ruolo in “Via col Vento”, ma non vinse l’Oscar)

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100 dollari = Benjamin Franklin
(che poi, se hanno scelto, per la banconota di taglio più grande, l’inventore del parafulmine, un senso deve esserci)

E per concludere questo post venale, voglio ricordare qui, tra le monetine, solo il mitico PENNY, l’ONE CENT:

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altrimenti noto come il NUMBER ONE di Zio Paperone

Continuando con sporadici, ma “pregnanti” ricordi del mio soggiorno negli Stati Uniti, facciamo un breve excursus tra la moda locale.
Abiti da sera, sì, ma a poco prezzo!
In nessun luogo come nella patria del consumismo è invece presente e vivo il fenomeno del riciclare, del riproporre quello che si usa magari una volta sola nella vita.
Quindi abiti da sposa, sì, ma anche abiti da sera, di quelle serate eccessive, lustre, luccicanti, colorate, come solo qui si possono avere.
Le fiere vintage, il vintage stesso, ma anche l’introdurre nella categoria “vintage” epiche e mode sempre più recenti, trovano un grandissimo favore negli USA.
Chi non ricorda il favoloso basement di Filine’s a Boston? Malauguratamente chiuso (e per sempre!, pare) da pochi mesi.
Adesso l’indirizzo di riferimento a NY pare sia il Loehmann’s store, sulla Settima Avenue, tra la 16th e la 17th, West Side, zona Chelsea.
Pare si possano trovare affari colossali.
Sarà questione di momento, o forse di gusti: a me non è sembrato poi questa meraviglia, né dal punto di vista dei prezzi né da quello della scelta.
Comunque…..ecco un assaggio degli abiti da sera (giocando con l’inutilità):

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Per finire una chicca: le scarpe!!!

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La “nail art” impazza, negli Stati Uniti.
È esercitata soprattutto da estetiste (?) cinesi e indiane. Anzi, tiranni cinesi, sia uomini che donne, che in antri improbabili schiavizzano piccole donne orientali di varia nazionalità, impaurite e che probabilmente vivono quasi solo delle mance che ricevono.
Comunque si trovano questi negozietti per pedicure e manicure ovunque ed è difficile resistere alla tentazione…
Anche per me, che pur usando smalti a gogó per le unghie dei piedi, non mi ero MAI dipinta le unghie delle mani.
E quindi: mai dire mai…!

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Una “falsa” French Manicure (mai avute le unghie abbastanza lunghe per fare quella vera)

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E poi le mie preferite, rosso fegato:)

Naturalmente il motto è “politically correct sempre”. E integrazione.
Anzi, costruire una società che sia “democratic and inclusive”.
Ma anche qui, come sempre, non bastano le parole. E spesso la società è “inclusive” solo di facciata (o, se vogliamo essere generosi) di volontà.
In realtà come sappiamo bene e proprio noi, paese di recente immigrazione, è il razzismo subdolo ad essere il più difficile da sradicarsi.
Capita quindi che negli Stati Uniti governati dal primo presidente nero della storia, i particolari siano illuminanti.
E certe lezioni si imparano dalla vita quotidiana, per esempio alla scuola dei grocery shops

Linee dedicate di prodotti di bellezza.
E fin qui…….

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Peccato poi che proprio l’indicazione del nome del reparto sia quanto di più scopertamente razzistico possa esistere.
(che ovviamente per dimostrarsi di intenzioni politically correct sembra che basti evitare di nominare il oltre della pelle……..)

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